La Chiesa


la chiesa di santa Pelagia

"La chiesa di Santa Pelagia, per la sua architettura, per la decorazione a stucchi e colori, per le sculture degli altari e del coro e per i quadri, rappresenta in modo sintetico, schietto e grazioso l'aura artistica che ispirava Torino nella seconda metà del Settecento"

(E. OLIVERO, La chiesa di Santa Pelagia, in "Torino", aa XII, n°2, p.54)

 

Posta come fondale a via Santa Croce, la chiesa fu eretta tra gli anni 1769 e 1772, sopra le rovine di una chiesa più antica, per volontà delle monache agostiniane, su disegno dell'arch. torinese FILIPPO NICOLIS DI ROBILANT (1723-1783). Consacrata il 21 settembre 1772 dall'arcivescovo torinese Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, nel 1800, le autorità francesi soppressero il monastero affittandone i locali alla Regia Opera della Mendicità Istruita (ora Opera Munifica Istruzione) per adibirli a sede della "scuola di carità" per i poveri.

Entrando nella chiesa è possibile percepire la ricchezza e la grande eleganza degli spazi la cui complessità volumetrica è appena intuita all'esterno.

La facciata presenta un pronao coronato da un timpano sostenuto da quattro colonne con capitello ionico. Il linguaggio espressivo usato dal progettista richiama interpretazioni classicheggianti che vanno oltre il barocco classico.

 

 


L'aula della chiesa è a pianta centrale coperta da una cupola a cui si aggregano quattro spazi ellittici destinati ad accogliere il presbiterio, le due cappelle laterali e sullo sfondo l'organo. Le principali fonti di luce sono costituite da finestroni semiovali sulle cappelle e l'ingresso. L'impianto architettonico è arricchito da un doppio gruppo di lesene corinzie sormontate da una ricca trabeazione. Una decorazione a fascioni raccorda la cupola ai pilastri; finestrelle ad oculo si inseriscono tra i fascioni alla base delle cupola. L'attuale decorazione parietale presenta stilemi barocchi; è il risultato di interventi pittorici che si sono susseguiti a partire dalla seconda metà dell'Ottocento fino agli anni Venti del Novecento.

Sugli altari i dipinti di Antonio Blanchery (1735-1775) raffiguranti: sull'altare maggiore - La Vergine che incorona S. Pelagia con S. Agostino e S. Monica; sugli altari laterali, a sinistra, S. Francesco di Sales in adorazione del S. Cuore e, a destra, San Luigi Gonzaga in contemplazione del Crocefisso. In alto, sulla destra del presbiterio, una grata nasconde l'ampio salone in cui il Re Carlo Alberto, il 1 ottobre 1831, salito al trono da pochi mesi, sostò con la sua corte per assistere alle funzioni religiose dopo la visita alla Scuola dei poveri.

Sulla sinistra del vano centrale si apre l'ampio CORO di forma semiovale dove le monache assistevano, separate dal popolo, alle funzioni religiose; gli stalli in noce, a doppio ordine di sedili con parapetto, sono sormontati da una balconata lignea riccamente decorata ai cui due lati opposti si trovano, da una parte un pregevole bassorilievo in papier marché raffigurante l'Annunciazione (G.B. RAJNERI E G. CANTARELLO, 1773) e dall'altra il grandioso dipinto di Vittorio Amedeo Rapous (1728-1800) che rappresenta Il Beato Amedeo di Savoia tra i mendicanti che intercede presso la Vergine con S. Filippo Neri e S. Vincenzo de Paoli.

Il 13 giugno 1943, durante una incursione aerea inglese, una bomba cadeva senza esplodere nella chiesa, sfondando il tetto e la volta dell'abside, demolendo un tratto di pavimento e danneggiando le tele dell'altare maggiore e della cappella laterale sinistra.

cura del patrimonio


il restauro della chiesa di santa Pelagia

L'Opera Munifica Istruzione, d'intesa con la Curia Arcivescovile di Torino, con i preziosi contributi della Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte e Comune di Torino, ha promosso un importante intervento di restauro e rifunzionalizzazione della Chiesa di Santa Pelagia , del Coro e del complesso del Convento delle monache agostiniane.
Gli interventi hanno occupato lo spazio di quasi dieci anni.

Il complesso del Convento 

Il convento di Santa Pelagia, posto nell'ampliamento orientale della città, fa parte di un impianto di ampio rilievo della invenzione urbanistica della città barocca ove Via Po rappresenta il margine, mentre Via Maria Vittoria è l'asse compositivo principale e la Piazza Carlo Emanuele II (Carlina)   la cerniera.

Secondo l'intuizione progettuale del Robilant il convento e la chiesa, sia pur decentrati, dovevano apparire quale evento eccezionale nell'impianto urbanistico citato. Ciò è rilevato dalla sapiente collocazione del pronao nella sua visione frontale e assiale al sistema geometrico generato dalla piazza.

Un artificio scenografico inusuale, nella Torino barocca, colloca l'asse compositivo della chiesa in una successione di spazi sempre più interni, scavati nell'isolato ma distinti e legati saldamente al sistema delle gallerie interne.

Questa articolazione geometrica a griglia, non viene mai smentita anche negli interventi di completamento che si sono succeduti. Dunque particolare valore assumono i due portali laterali al pronao che, intenzionalmente, aprono a prospettive interne, lasciando intendere una geometria ormai consolidata negli edifici conventuali entro le mura della città. Con fantasia si può ricostruire l'impianto generale, in cui chiesa, chiostri, corti si legano saldamente alla cultura costruttiva tardo settecentesca.

Si è inteso il restauro come processo integrato in cui, alla restituzione della luminosità originale agendo sulle partiture dipinte, sugli elementi accessori lapidei e lignei, sulle tele e sulle cornici, si è intervenuti anche sull'adeguamento impiantistico e sulla dotazione di un confort funzionale ai ruoli istituzionali che l'Ente svolge. Particolare riguardo si è rivolto alla messa in evidenza all'accessibilità degli articolati percorsi e delle vie di fuga per la sicurezza degli spettatori.

Il restauro dell'intero impianto conventuale, completato nei suoi elementi essenziali, lascia ancora incompiute e interrotte alcune articolazioni (chiostro, gallerie, cripte, ecc.) che si completeranno saldando convento e chiesa in un complesso unitario esteso sulla maggior parte dell'isolato di Santa Pelagia.

La Chiesa 

Il complesso architettonico, all’inizio dei lavori, presentava un’immagine svilita, impoverita, sia per la opacità dei colori originali, sia per i troppi strati pittorici che impedivano la lettura dell’opera. Il restauro, avviato dal 1998, ha restituito quella intensa luminosità che le scorie del tempo avevano cancellato.

I saggi stratigrafici, eseguiti durante i lavori, hanno messo in parziale evidenza le partiture originarie pensate dal Robilant di cui si sono conservate, a memoria, alcune testimonianze visibili nella cupola del presbiterio.

Tutte le emergenze artistiche dell’aula sono state oggetto di un attento restauro: gli altari, le balaustre, le acquasantiere in marmo, al fine di restituirne i colori originali; le tele settecentesche degli altari, dipinte da Vittorio Blanchery (1771).

Particolare attenzione è stata posta nel restauro del Coro contornato da stalli in noce sormontati da balconata lignea decorata con un pregevole bassorilievo in papier marché raffigurante l’Annunciazione (G.B. Rajneri e G. Cattarello, 1773) e il grandioso dipinto di Vittorio Amedeo Rapous, raffigurante il Beato Amedeo di Savoia tra i mendicanti che intercede presso la Vergine.

Le sculture lignee, il portone di ingresso, la cantoria e il pulpito hanno riacquistato l’assetto originario; agli stucchi dei capitelli e delle lesene è stata restituita consistenza e ruolo nella composizione cromatica della Chiesa. Il pronao, che si affaccia su Via San Massimo, è stato riportato al suo effetto scenico originario. Molti sono gli oggetti e i manufatti recuperati ma il dato significativo, al di là del singolo valore artistico, è il risultato armonioso complessivamente ottenuto.

Le persone che hanno contribuito al restauro

Si rimarcano per la preziosa azione di tutela Paola Salerno, direttore della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, e Cristina Mossetti, direttore storico dell’arte della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e etno antropologico.

Le opere di restauro dell’aula sono state eseguite con competenza da Edilrestauri S.r.l. (Altavilla Vicentina), mentre i restauri delle tele sono stati restituiti da Giorgio Gioia (altare maggiore) e da Michelangelo Varetto del Consorzio S. Luca (altari laterali).

La progettazione e la direzione artistica sono state curate dal Prof. Arch. Agostino Magnaghi coadiuvato dagli architetti Marina Locandieri e Antonino Mannina.

Il direttore dell’Opera Luciano Rocchietta ha svolto il compito di Responsabile unico del procedimento.

L’operazione di recupero e salvaguardia di questa importante porzione del patrimonio artistico torinese è stata resa possibile dalle grandi energie profuse dalle persone che negli anni, in qualità di volontari, hanno fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’Opera:
Rosanna Balbo (Presidente dal 1978 al 1990, dal 1995 al 1998 e dal 2003 al 2014), Marilena Palestro (Presidente dal 1991 al 1995) Pier Paolo Filippi (dal 1999 al 2002) e tutti i Consiglieri succedutisi nel tempo: Emilia Pozzo, Barbara Bucchioni, Gianfranco Dalla Gassa, Maurizio Maffei, Roberto Romano, Stefania Berta, Claudio Mellana, Isabella Moschetti, Massimo Novarino, Vincenzo Pollone, Maria Piera Ferraris, Maria Rosa Guerrini, Maria Teresa Mignone e Laura Francisca ed altri.

la Santa dei "minimi"


Santa Pelagia

Etimologia di Pelagia: del mare, marino dal latino
Festa: 8 ottobre
Patrona dei musicisti, attori, mimi.

Vissuta nel terzo secolo d.C. ad Antiochia di Siria, una delle metropoli del mondo antico, era soprannominata Margherita (perla preziosa) per la sua rara bellezza. Come si legge nella Patrologia Latina (Vitae Sanctae Pelagiae meretricis P.L. 73) era famosa per essere "la prima delle attrici di Antiochia, ed era anche la prima delle danzatrici mimiche". Soleva attraversare la città "con molta appariscenza" preceduta e seguita da "grande corteo di servi e di serve. Era ricoperta di oro e perle e pietre preziose" e, come una regina portava "una collana d'oro al collo"; "dello splendore, poi, della sua bellezza, non si sarebbero saziati tutti gli uomini di questo mondo." Questo corteo, passando un giorno nei pressi di alcuni vescovi seduti davanti alla basilica del beato martire Giuliano, «riempì tutta l'aria del profumo di muschio e della fragranza dei soavissimi aromi» che Pelagia spandeva.

Subito i religiosi distolsero lo sguardo da lei; tutti salvo il beatissimo Nonno, il più anziano e santo tra i vescovi presenti, che «invece, rivolse lo sguardo verso di lei intensissimamente e a lungo, tanto che dopo che fu passata egli ancora la fissava e la guardava.» Poi rivolto ai vescovi seduti con lui disse: "Non vi rallegra una così grande bellezza?".» E nel pianto lo ripetè ancora. «In verità, io mi sono rallegrato moltissimo e mi è piaciuta la sua bellezza, poichè Dio la metterà al primo posto (Mt 21,31)... per giudicare noi".» «E di nuovo disse ai vescovi: "...quante ore ha passato questa donna nella sua camera per lavarsi e prepararsi, per ornarsi con ogni premura... perchè non manchi nulla alla bellezza... Noi invece, che abbiamo nei cieli un Padre onnipotente,... noi che abbiamo la promessa di vedere... il volto inestimabile dello Sposo, su cui i cherubini non osano posare lo sguardo... non orniamo nè tiriamo via le sozzure dalle nostre misere anime ma lasciamo che esse giacciano lì con negligenza.»

Vissuta nel terzo secolo d.C. ad Antiochia di Siria, una delle metropoli del mondo antico, era soprannominata Margherita (perla preziosa) per la sua rara bellezza. Come si legge nella Patrologia Latina (Vitae Sanctae Pelagiae meretricis P.L. 73) era famosa per essere "la prima delle attrici di Antiochia, ed era anche la prima delle danzatrici mimiche". Soleva attraversare la città "con molta appariscenza" preceduta e seguita da "grande corteo di servi e di serve.

Era ricoperta di "oro e perle e pietre preziose" e, come una regina portava "una collana d'oro al collo"; "dello splendore, poi, della sua bellezza, non si sarebbero saziati tutti gli uomini di questo mondo." Questo corteo, passando un giorno nei pressi di alcuni vescovi seduti davanti alla basilica del beato martire Giuliano, «riempì tutta l'aria del profumo di muschio e della fragranza dei soavissimi aromi» che Pelagia spandeva.

Quella donna fu toccata dalla grazia ascoltando le parole del vescovo. Andò a prostrarsi ai suoi piedi e ottenne il battesimo. Mutò i suoi preziosi abiti con la tunica del penitente.

Si fece battezzare e, lasciata Antiochia, si recò a piedi fino a Gerusalemme, dove visse in una «modesta cella chiusa da ogni parte e che aveva una piccola finestrella su una parete». Scambiata per un uomo (Pelagio) si scoprì la sua vera identità dopo la morte e ricevette, col nome di Pelagia, la devozione di tutti i cristiani.

» Vitae Sanctae Pelagiae meretricis P.L. 73, VITA DI SANTA PELAGIA PROSTITUTA

   Scritta dal diacono Giacomo, tradotta da Eustochio

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